Oggi a Samba abbandoniamo per qualche ora il nostro campo base, spaziando nel nostro bel territorio, lungo la valle del Misa, il fiume che arriva fino a Senigallia, attraverso le nostre colline.
L’avventura attira i nostri ragazzi: forse molti di loro non sono mai andati a fare un’escursione come quella che li aspetta, nonostante il caldo si faccia sentire.
La giornata è bellissima: con l’aiuto del vento, a tratti bollente a tratti fresco, affrontare il percorso immaginato dagli insegnanti sarà comunque piacevole e non troppo faticoso.
Arriviamo ai piedi del borgo di Vaccarile con il pulmino. Lasciato il mezzo, ci mettiamo subito in cammino: la strada è piana e bianca, a sinistra la lunga fratta che costeggia il fiume, a destra campi grandi e larghi che salgono tutta la collina.
Sono i campi di cui non ci accorgiamo nemmeno quando stiamo in paese o andiamo a scuola: sono lì da secoli, sapientemente condotti dalla mano dell’uomo; ancora oggi costituiscono una grande ricchezza del nostro territorio, una delle zone d’Italia in cui è raro trovare spazi non coltivati o abbandonati.
Chi dei nostri ragazzi non ha qualche parente, più o meno giovane, che non coltiva ancora un pezzo di terra? Alla terra ancora molti anziani e meno anziani sono oggi collegati, anche se si tratta di un piccolo orto da coltivare per la soddisfazione di portare in tavola qualcosa di tirato su con le proprie mani.
Così il percorso si snoda lungo il fiume, che quest’anno, con la siccità, è ridotto ad un piccolo rigagnolo, anche se anni addietro è stato capace, dopo le grandi piogge, di fare paura, uscendo dagli argini a Senigallia, facendo molti danni. Sembra inoffensivo, adesso, ma è sempre un fiume, capace di sorprenderci con la sua forza inarrestabile.
Lungo la strada ci sono, distanti l’una dall’altra, delle casette – una più carina dell’altra: e qualcuno ha curato degli orticelli sull’argine del fiume, che in questo tratto sono molto alti, per cui tutti sono qui al sicuro da imprevisti.
In qualche punto, possiamo scendere fino alla poca acqua rimasta, con una vegetazione che sembra prendersi la sua rivincita, occupando tutto lo spazio possibile, con una varietà di forme che i ragazzi osservano quasi impressionati: la natura lasciata a se stessa ha la fantasia di una mano invisibile che si sbizzarrisce in mille profili, in mille volute, in mille slanci.
Tornati sulla strada bianca, gli insegnanti guidano il gruppo a destra sul fianco della collina, passando vicino ad un’azienda agricola tenuta benissimo: cereali, girasole, vite, olivi, erba medica, con le loro sfumature di verdi e di gialli, che riempiono gli occhi nella luce netta del sole.
Qui i ragazzi fanno la scoperta inattesa di una fila di grandi querce, potentemente radicate sul ciglio del sentiero: hanno tronchi scuri e saldi, severi, percorsi da tantissimi lievi solchi verticali, che seguono poi lo slancio dei grandi rami, allargati fino a coprire tutto il cielo del sentiero.
Un uomo solo non riesce ad abbracciare tronchi così grandi, da cui i rami si aprono formando una specie di calice, dove potrebbero stare comodamente seduti almeno due o tre dei nostri ragazzi…
Ma preferiamo non fargli venire quest’idea, perché oggi i bambini non sono più abituati a salire sugli alberi, e abbiamo paura possano farsi male.
Allora tutti davanti al grande albero, al loro re secolare, piantato lì da chissà quando, molto prima che nascessero i ragazzi di Samba, anche prima dei loro genitori, e forse addirittura dei loro stessi nonni.
Ora eccoci tutti in piedi, a braccia levate, in alto, per misurarsi con l’altezza del grande rovere sovrano, che ora è sicuramente orgoglioso di abbracciare con la sua ombra tutta questa nostra gioventù.